domenica 26 luglio 2009

Il Petrolio del Terzo Millennio, noi ce lo bruciamo allegramente.


Una mia campagna due anni fa lanciava Economia & Società Aperta, un forum promosso dalla più qualificata università privata e dal più prestigioso quotidiano italiano. Una manifestazione premiata come migliore evento culturale europeo del 2007: aveva l’ambizione di mettere la nostra società davanti a quel fenomeno chiamato globalizzazione, che spaventava i più e che nessuno sembrava in grado di governare a nostro favore.

Gli annunci erano costruiti con citazioni di uomini famosi (tra cui l’Einstein di “Tutti pensano che una cosa sia impossibile. Finché non arriva chi non lo sa e la fa”). Erano poi abbinati alle interpretazioni grafiche delle impronte digitali di uomini e donne di nazionalità diversa dalla nostra, che vivevano in Italia, regolari e nel rispetto delle leggi. Gente che grazie al proprio valore professionale portava qualcosa di nuovo ed utile alle nostre famiglie e al nostro sistema produttivo.

Una delle impronte digitali protagoniste, come vedete nell'immagine, era di Vikas Kumar, trentenne ricercatore indiano della Bocconi. La frase che commenta il suo soggetto era di un Premio Nobel per la Pace, Alfonso Perz Esquivel: “Per seminare, occorre aprire le mani”. Assieme al gesto di aprire le mani, segno di disponibilità opposto ai pugni chiusi, si evocava anche il bisogno di far cadere il seme, che andrà a moltiplicarsi nel terreno fertile.

Venerdì scorso il Corriere pubblicava in prima la notizia che questo personaggio, simbolo del talento di chi viene nel nostro paese a lavorare, ha deciso che cambierà aria. Ha accettato una proposta dall’Università di Sindney, neanche particolarmente interessante.

Molto semplicemente, Vitas non aveva più un visto di soggiorno per il nostro paese. Il rinnovo non arrivava, così ha deciso di andare altrove. L’Italia perde un altro talento, ma sopratutto la sua reputazone internazionale scende che più in basso non si può.

Possiamo organizzare altri mille G8 o fare dell’ironia sulle carceri vaticane. L’unico segno concreto è che restiamo un paese in cui non vengono più gli stranieri di talento, quelli che hanno fatto la fortuna di paesi come USA o UK. Nel frattempo mia figlia, che si è trasferita a 21 anni nella Grande Mela, mi scrive ironica: “Visto che non mi conveniva restare nel Bel Paese?” Non siamo attrattivi: non solo per quelli stranieri, ma nemmeno per i talenti locali.

La domanda resta semplice: come faremo a reggere la concorrenza globale, che si fa sempre più qualificata? Il nostro Nobel più giovane ha 90 anni ed è l’unico degno della copertina del numero 1 di Wired Italy. Gli stranieri di qualità litigano con la nostra burocrazia contemporaneamente borbonica e padana. Morale, mentre tutti sostengono che il Talento sarà il nuovo Petrolio di questo millennio, noi svuotiamo i nostri giacimenti.

Probabilmente riteniamo che la nostra Magic Italy si sosterrà con la fama di paese di cuochi, camerieri e apicelli. O con la reputazione di tombe fenicie farlocche, party con gelati gratis e ragazze dal papi facile. Neanche Curzio Malaparte raccontò un paese così disperato, 60 anni fa. La Pelle l’abbiamo superata. Adesso, siamo arrivati giù nel Colon.

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