domenica 21 giugno 2009

Dio è morto. Ed anche i direttori creativi non si sentono troppo bene.

Allora, cominciamo subito con le brutte notizie da Cannes. Alle 15 di domenica escono le short list delle categorie Direct, Promo e Pr. Come previsto, nessun lavoro italiano va al giudizio per i premi, e di questo non ci stupiamo. Fa notizia invece che la Memac Ogilvy Label di Tunisi sia riuscita a portare in short list un suo lavoro direct per i panneli solari Home System. Pare che sia la prima volta per un’agenzia tunisina. Noi invece, che pure viviamo nel paese del sole, neanche riusciamo ad installarli, quei simpatico tappetini che producono energia elettrica. Figuriamoci se sul tema sappiamo produrre del lavoro di comunicazione degno del resto del mondo. Almeno in queste tre categorie.

In Italia mi dicono che c’è stato un week end di pioggia. Qui c’è il sole e tutti gli addetti dell’organizzazione sono sorridenti. Neppure il calo di iscrizioni (-20 %) ha fatto perdere la cultura del servizio. Per cui all’ufficio stampa ti ricoprono di attenzioni, coccole, gadget, oltre ai programmi della prima giornata. Tutti raccomandano l’atteso speech dei due responsabili di LBi, agenzia digitale che per riempire la sala Debussy alle 10 di mattina ha dovuto promettere mirabilie con un titolo provocatorio: 2012, la morte del Direttore Creativo.

Chris Clarke, che si dichiara Chief Creative Officier per evitare la dizione tradizionale di CD, è uno di noi creativi, con la barba incolta e l’aria ciondolante. Lorenzo Wood, che prima di essere il suo boss è anche un famoso (mi dicono) scienziato informatico, ha il look del nerd che ha fatto i soldi: avrà 40 anni ma gira con t-shirt nera d’ordinanza, ha la pancetta del benessere e ce l’ha a morte con i processi organizzativi delle agenzie adv che lui definisce “del passato”. Quelle per intenderci, dove il direttore creativo assegnava alla sua coppia supersenior i film più prestigiosi, alla coppia di mestiere quelli più banali, alla coppia giovane magari i radio o quelle cose misteriose che si chiamavano new media. Invece da almeno cinque anni la tv seduttiva non esiste più in nessun paese del mondo (noi facciamo finta di niente, come per i pannelli solari). Quello che fanno le nuove organizzazioni creative è utilizzare al massimo questo mix frammentato di multicanali dove i consumatori interpretano le marche, le interrogano, le sfidano. In questo ambiente competitivo servono ancora i vecchi skill, la creatività è centrale (addirittura la definiscono Super Relevant), ma cambia il modo di porsi. Non più guru indiscutibili che giudicano, ma team integrati dove tecnologi e creativi, story teller e programmatori lavorano fianco a fianco. Come alla Pixar, la compagnia fondata, guarda un po’ da Steve Job, che ha cambiao il modo di operare nell’industria del cinema e che potrebbe essere il modello organizzativo del futuro anche per noi. Insomma nel giro di tre anni non ci sarà più futuro da creative manager per chi non abbina al minimo sindacale, il grande talento, altrettanta capacità di ascoltare i consumatori via digitale, di leggere le loro mail, di guardare ed utilizzare i loro video, come se fossero membri del proprio team. Che tutto stia cambiando nel mondo della comunicazione commericale non lo dicono con le case history solo i due “giovani adulti” di LBi (Vodafone, Lego, Innocent, StreetCard). Qualche ora dopo, in un altro incontro, lo confermano fior di Vicepresident, Global Marketing Manager, Interactive Marketing Director di Coca Cola, che non dipingono scenari apocalittici per i CD, ma alla fine sono soli sul palco a raccontare quante e quali cose sta producendo in autonomia la casa di Atlanta. Dai game interattivi on line della Fabbrica della Felicità alle strategie di coinvolgimento attraverso I messaggi natalizi personalizzabili e uploadabili dai consumatori sui telefonini (in 4 continenti e 13 paesi), dalla creazione dei propri avatar stile seconda life per un mondo notturno a propria imagine e somiglianza (burnalterego.com) fino alle collezioni di figurine digitali della Panini e releativi scambi virtuali tra consumatori (si proprio la casa di Modena, che ha lavorato con Coca nei paesi di lingua spagnola e non in Italia!). Tutte le attività sembrano nate da squadre coordinate dei clienti, prima che dale agenzie, ed ispirate dai consumatori e dal loro uso dei social network. Forse non sarà abbastanza per dire che il direttore creativo è morto. Ma quello che ormai è defunto è il modo di programmare il lavoro delle agenzie di pubblicità. Ormai non si può più attendere il brief: bisogna anticipare i tempi, leggere i comportamteni dei consumatori, proporre i social media cone leve di comunicazione da utilizzare per periodi sempre più lunghi. Altro che programmare uno spot in tv e “ci vediamo l’anno prossimo”.


La cosa divertente della presentazione di LBi è che si conclude con un invito a considerare in modo diverso anche i premi creativi ed i grandi Contest Show come Cannes. Perchè è cambiato anche il modo di partecipare ai premi che riconoscono il talento. Oggi, dice Chirs Clarke, I coordinatori delle squadre creative, che stiano nelle agenzie, che lavorino dai clienti o siano indipendenti, devono ricordarsi che prevalgono le idee che si sviluppano su tutti i media, ma sopratutto quelle che partono dall’uso dei social network. Vedi Microsoft l’anno scorso, Grand Prix con una serie di spot diffusi sopratutto dai propri fans sul web, e mai andati in onda in tv.

Peraltro il rischio che creatività italiane, anche monomedia, vincano qualcosa è davvero basso: i lavori italiani, in totale, sono 378. Poco più della metà del lontanissimo 2005, dove ne avevamo iscritti 609 (ed allora avevamo vinto solo 2 leoni). Per dire la Thailandia, da sola, ne iscrive 406. Siamo un mercato di retroguardia nonostante un primo ministro pubblicitario (ma un filo troppo televisivo): altro che presidenza del G8.

Intanto, per concludere, il simpaticissimo Stefan Engeseth regala sulla Croisetta 10 mila copie del suo ultimo libro ai delegati iscritti. Titolo: La caduta delle pr e la rinascita dell’advertising. Dichiara di aver inventato questa tecnica per stimolare il mercato editoriale. Simpatico, ma l’avevamo già fatto con Gianni Lombardi nel 2006. L’avevamo chiamato bookdropping: almeno in questa specialità siamo arrivati prima noi italiani.

Per il resto, buon festival a chi verrà: ad oggi l’ufficio stampa ci informa che sono iscritti 196 italiani. Pochissimi rispetto ad un passato dove la nostra colonia invadeva caciarona la Croisette. Buon lavoro ai tanti che restano a Milano, a capire se l’economia riprende. Noi da qui vi racconteremo cosa cavolo stanno facendo gli altri, nei loro paesi.

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