lunedì 14 febbraio 2011
Massimo Guastini: "Stufo di aspettare Godot."
Il direttore di ADvExpess, Salvatore Sagone, intervista Massimo Guastini sul suo giornale a meno di una settimana dall'assemblea elettiva ADCI. LatoB la riprende con tempesività, vista la ricchezza di contenuti aggiuntivi rispetto al programma originale, per renderla disponibile anche ai non abbonati.
ll 17 gennaio, ADVexpress anticipava il suo articolato programma. Da allora, Massimo Guastini (a destra nella foto) è ufficialmente in corsa per la presidenza dell’Art Directors Club Italiano, la cui elezione si terrà sabato prossimo. Al momento, è Guastini l’unico candidato ufficiale che si è esposto con un programma articolato.
Tra coloro che avevano paventato la possibilità di provarci, Maestri e Luca Scotto di Carlo, ci hanno ripensato. A breve Guastini comunicherà i nomi degli 8 creativi che, insieme a lui, costituiranno il consiglio direttivo con cui si andrà alle votazioni di sabato prossimo. Oltre alle interviste e dichiarazioni rilasciate fino a oggi, col direttore creativo della Cookies ci preme approfondire un aspetto che riteniamo importante non solo per l’associazione dei creativi ma per tutte le società o persone che offrono servizi di comunicazione: il rapporto tra domanda e offerta, tra clienti e agenzie. Uno scambio la cui moneta dovrebbe essere ‘in primis’ la creatività.
Qualche domanda prima di passare al tema centrale di questa intervista.
Col passare dei giorni sembrano essere tramontate altre ipotesi di candidatura, a eccezione della tua. A distanza da una settimana esatta dalle elezioni, sei l’unico a correre per la presidenza dell’ADCI. Come interpreti questa situazione, come spieghi il fatto che i tuoi colleghi, quelli di ‘peso’ provenienti dalla grandi agenzie, hanno gettato la spugna salvo, ovviamente, sorprese dell’ultimo momento?
Ti rispondo citando quanto ho scritto sul mio blog venerdì scorso. Hai presente il vecchio gioco dello stecchino che si faceva in spiaggia? A turno tra gli amici, si toglieva la sabbia, manciata dopo manciata, da una collinetta in cima alla quale veniva sistemato lo stecchino del ghiacciolo. Inevitabilmente, arrivavi a un punto in cui il tuo momento era carico di insidie perché rischiavi di essere tu e solo tu quello che faceva cadere lo stecchino, quello che poi avrebbe dovuto fare penitenza. Immagino che i miei colleghi non abbiano voluto assumersi il rischio. Con la mia candidatura non mi preoccuperò dello stecchino, e non sarò io a farlo cadere. Aggiungo, come ho scritto sul mio blog, che ho portato avanti questo impegno nel modo più trasparente possibile, come trasparente è stata la mia opposizione agli ultimi 15 mesi del mandato di Marco Cremona. Un'opposizione alla strategia, non alle persone del consiglio direttivo.
Auspico fortemente un candidato alternativo, purché rappresenti una netta contrapposizione al mio programma. Quindi, idealmente, la prosecuzione della politica portata avanti dall'ultimo Consiglio Direttivo. Altrimenti dov'è l'alternativa?
Se salterà fuori un candidato con un programma analogo al mio, daremo l'impressione di un'opposizione alla mia persona, non al programma. Sarebbe un pubblico messaggio di chiusura. Alimenterebbe all'esterno, oltre che all'interno, pregiudizi che non aiutano la nostra reputazione. Solo per questo mi avrebbe imbarazzato avere contro Pietro Maestri o Luca Scotto di Carlo. Perché in tutte le loro recenti interviste non hanno detto cose in contrasto con le mie idee. Anzi. Se il 19 febbraio ci comporteremo tutti da uomini trasparenti, nessuno resterà con lo stecchino in mano e, soprattutto, il Club inizierà a recuperare lo svantaggio accumulato sul mondo esterno. E torneremo avanti noi, ne sono convinto.
Perché hai deciso di volere fare il presidente dell’ADCI?
È stata una candidatura dettata dall’esasperazione. Ero stufo di vedere ristagnare questo ambiente dove nessuno sembra avere voglia di sperimentare nuove rotte. Il mio percorso è iniziato a novembre. A coloro che avevano la mia stessa idea sul futuro del club, chiedevo di candidasi. Questi mi rispondevano rilanciandomi la domanda: perché non ti candidi tu? Da lì è iniziato tutto. Guardando a quanto poi è successo è innegabile che la mia candidatura ha fatto molto parlare dell’ADCI. Sono riuscito nell’intento di tornare a far parlare i soci, e i non più soci, del futuro del Club. Si tratta di una novità interessante, ed è già un buon risultato.
Essere presidente del Club significa anche acquisire una notevole notorietà. Può essere stato anche questo il motivo della tua candidatura?
Chi insinua che io voglia fare il presidente dell’ADCI per guadagnare notorietà per la mia persona e la mia agenzia è completamente fuori strada, Soprattutto, non ha idea di quello che significa questo ruolo, la fatica e l’impegno che comporta. Inoltre, Cookies ADV è già nota presso le aziende con cui vogliamo lavorare. Le aziende ci contattano di loro iniziativa, parlo di aziende come eBay, Easy Jet, Current, Il Sole 24 Ore giusto per citare nomi con cui abbiamo lavorato recentemente. Ciò significa che il nostro communication mix funziona e non mi serve il Club per migliorarlo. Il mio obiettivo vero, lo ripeto ancora una volta, è ridare dignità e valore al nostro lavoro, recuperare una reputazione rilevante.
La tua squadra. Da chi sarà composta?
In questo momento non posso dirglielo perché rimane ancora un tassello del puzzle da sistemare. Ma a brevissimo, comunicherò i nomi dei nove consiglieri, me compreso, con qualche giorno di anticipo rispetto alle elezioni. Mi sembra corretto nei confronti dei soci, che avranno così il tempo necessario per farsi una propria opinione.
Se non puoi dirci i nomi, almeno puoi dire quali sono i criteri con cui li hai scelti?
In primo luogo ci saranno anche giovani nell’accezione che oggi si dà a questo termine nel nostro mestiere, ossia 35enni. Io ne ho compiuti cinquanta il 3 novembre scorso e sarò il più vecchio, credo. Ci saranno anche giovani perché non voglio che passi il messaggio che con la gestione Cremona, le nuove generazioni abbiano fallito. Sarebbe una sterile strumentalizzazione. In terzo luogo, vi sarà una rappresentanza sia di agenzie internazionali sia di indipendenti. Ho cercato, infine, di assicurarmi un buon livello di competenze digitali.
Soltanto pochi giorni fa abbiamo intervistato il presidente dell’Upa Lorenzo Sassoli de Bianchi. Il suo giudizio sulla comunicazione italiana non è stato positivo. La pubblicità manca di quella narrazione originale - afferma - che manca anche in altre forme di espressione creativa, quali ad esempio la televisione o il cinema. Sassoli si assume anche la responsabilità, come portavoce delle aziende committenti, di questa sorta di omologazione di format e linguaggi pubblicitari, ma chiede alle agenzie di puntare i piedi, quando gli input che provengono dalle aziende sono troppo generici. Insomma, le agenzie devono fare comprendere alle aziende la propria funzione, che quella di dare valore alle marche. Cosa ne pensa, è necessario questo scatto d’orgoglio? E cosa lo impedisce?
Sono d’accordo con Sassoli de Bianchi. Più che “puntare i piedi” mi piace però esprimere in altro modo il mio auspicio: “dobbiamo recuperare reciprocità nei rapporti con donne e uomini di marketing”. Nelle aziende con le quali ho raggiunto i risultati migliori ho incontrato dei partner preparati, stimolanti, con una forte etica e che hanno impostato con me un rapporto basato sulla reciprocità. Briefing molto completi. Tempi di approvazione allineati ai tempi di ideazione assegnati all’agenzia. Anche nel caso di emergenze. “Corro io corri tu, insomma”. E non dimentichiamo le condizioni di pagamento. Ci sono aziende che impongono i 180 giorni. Anche quando sei capo commessa. Altrimenti non lavori per loro. Per me è inaccettabile. Per quanto mi riguarda ho incontrato condizioni ideali per lavorare con Paola Bonomo, Emanuela Marconi, Andrea Polo e Cristian Corotto in eBay. Con Thomas Meister in easyJet. Con Paolo Lorenzoni in Current TV. Con Roberto Bennati e Alessandrea Fantuzi in Lav. In passato le ho trovate con Donatella Squellerio e Roberto Anedda di Abbey National Bank. Con Sauro Mambrini di Champion. Con Ilvo Morosini, consulente del Gruppo Granarolo. Con nessuno di questi professionisti ho mai dovuto “puntare i piedi”. Ho dovuto guadagnarmi il loro rispetto, naturalmente, con campagne vere, talvolta proponendo dei rilanci quando il briefing per quanto completo poteva avere uno “svolgimento” più efficace. Da sei anni dico sistematicamente “no grazie” in assenza di etica. Dico “no grazie” a tutte le aziende che con le loro regole d’ingaggio non mi permetterebbero di pagare adeguatamente le persone che lavorano con me. E sono ormai certo di una cosa. Se davvero credi di essere bravo, se sei convinto di poter fare la differenza, devi necessariamente mettere le tue capacità al servizio di chi se le sa meritare. Non dobbiamo accontentarci di essere scelti, già nei primi passi della relazione con un potenziale cliente dobbiamo ricordarci che una relazione è reciproca se entrambi si riservano di non accettarla. Persino in tempi di crisi.
Puoi riassumerci in sintesi cosa dovrebbe essere l’ADCI del prossimo triennio?
Deve tornare a essere un Club. Oggi è solo un award che conta sempre meno. Voglio che divenga un Club utile a tutti i soci, a chi lavora e affronta sfide in un contesto, quello attuale, che è molto diverso da quello degli anni ottanta. Non è lo statuto che deve adattarsi ma il modo di muoversi e di relazionarsi del Club rispetto a un ambiente esterno che è mutato. Esattamente come noi esseri umani non abbiamo modificato corredo genetico rispetto a quando dovevamo sopravvivere alla tigre dai denti a sciabola. Ma abbiamo modificato molti dei nostri comportamenti. Abbiamo elaborato differenti strategie adattive. Voglio un Club che operi per ridare dignità, valore e rilevanza al nostro lavoro. Voglio che l’etichetta “creativi” non sia
più associata ad allegroni poco consistenti o a fighetti da happy hour, ma a quello che nei fatti dovremmo essere sempre: protagonisti della comunicazione, consapevoli del ruolo che abbiamo nel determinare quell’astrazione definita “immaginario collettivo”. Astrazione che ha poi effetti molto concreti nella determinazione dei comportamenti.
Sempre nell’intervista di cui sopra il presidente dell’Upa afferma un concetto importante, che è anche un appello alle proprie associate, don’t squeeze the supplier? Quale importanza avrà l’Upa quale interlocutore dell’ADCI nel caso in cui venissi eletto?
Dal mio punto di vista considero Upa un interlocutore cruciale. E mi spenderò molto per dare evidenza al confronto tra Adci e Upa, nel segno della massima trasparenza reciproca. Voglio che le aziende associate conoscano le reali condizioni di lavoro di chi lavora per dare valore alle loro marche. Considero un errore pericolosissimo continuare ad aspettare che i problemi vengano risolti da altri, per esempio da Assocomunicazione. Non accadrà. Le evidenze, anche recenti sono molte. Non serve che le ricordi. Quante agenzie fondate e dirette da creativi fanno parte di Assocomunicazione?
Torneremo tra breve su questo argomento. Rimaniamo in tema di Upa. Ancora Sassoli dichiara esplicitamente che a lui non interessa da quale agenzia provenga il futuro presidente ADCI, se da una sigla espressione di una grande holding, o da un’agenzia indipendente. È interessato piuttosto alla persona. Mi sembra un’apertura nei tuoi confronti, o nei confronti di chi ha semplicemente qualcosa di interessante da dire. No?
Come qualsiasi persona intelligente e di buonsenso Sassoli de Bianchi vuole conoscere l’uomo, non le medaglie che si porta appresso.
Altra affermazione interessante di Sassoli è la seguente: Il metodo con cui si lavora, più che il leader carismatico, è quello che garantisce l’efficacia della comunicazione. E’ d’accordo?
Tutti abbiamo il mito degli eroi. Ma quando devi impostare una strategia, sai benissimo che non puoi basare le tue mosse aspettandoti un comportamento medio “eroico” dagli item che impiegherai. Se lo fai perdi. I piani di battaglia, come le strategie di comunicazione, devono ipotizzare un rendimento medio da tutte le forze impiegate. Poi se qualcuno si inventa la giocata da fuoriclasse sarà tanto di guadagnato. Ma il metodo è mediamente più affidabile e meno capriccioso di certi leader carismatici.
Un sostegno esplicito te lo ha invece dato Pasquale Barbella, all’interno dell’intervista che abbiamo pubblicato lo scorso 1° febbraio. Il suo pensiero, parlando di comunicazione, è che per dare nuova speranza a questo settore sia necessario partire da zero. Occorrono pionieri, progettisti di idee che possano essere utili ai clienti, nell’accezione più ampia del termine. Cosa ne pensi?
Penso che l’Adci dovrà mettere in condizione i creativi di ripartire da 1. Favorire cioè la condivisione tra soci, fare cassa comune di competenze, informazioni, far sì che i migliori creativi possano anche diventare degli ottimi imprenditori quando volenti o nolenti saranno costretti a farlo. Il modello di agenzia per come lo abbiamo visto affermarsi ed esplodere con le tv di Berlusconi, è da tempo in agonia. Inutile rivangare le cause. Più utile prepararsi.
Battaglia, Cernuto, Emiliani, Haiman, Panzeri, Pizzigoni, Rodriguez, Rozzi , Toscana, ecc… Leggendo la lista di chi non fa parte dell’ADCI, viene da chiedersi perché tanta disaffezione nei confronti del Club, e che senso abbia oggi. Qual è la tua opinione?
Con molti degli ex soci ho parlato o ho scambiato idee via email. Ciascuno aveva naturalmente un punto di vista personale ma se devo identificare un aspetto comune a molti dei feedback ricevuti, parlerei di una certa “vacuità valoriale”. A cosa serve? Cosa mi dà? Cosa aggiunge alle mie competenze nelle battaglie quotidiane per salvaguardare il mio ruolo professionale e il ruolo stesso di questo mestiere? Pare che la risposta “è un premio prestigioso” non sia più rilevante per tutti.
Non ritieni che i creativi siano ancora troppo chiusi nel proprio ambito, troppo presi a confrontarsi su argomenti che per le aziende probabilmente sono forse anche poco rilevanti?
Sì le aziende trovano del tutto irrilevanti i temi che l’Adci ha dibattuto negli ultimi anni. Questo per noi rappresenta un problema. Ci rende poco autorevoli e non del tutto credibili.
Torniamo su un punto appena accennato poc’anzi. Cosa pensi di AssoComunicazione?
Uhm….domandona. Penso che 5 “grandi famiglie” internazionali gestiscono oltre il 60% degli investimenti in comunicazione nel nostro Paese. Se non riescono a incidere concretamente sul mercato 5 grandi “condòmini” mi chiedo come ce la possano fare 60-70 o quante sono oggi le sigle comprese in Assocomunicazione. Credo che il mio pensiero si sia capito da precedenti dichiarazioni: ho smesso di aspettare Godot. Non ripongo alcuna attesa in Assocomunicazione e non mi interessa farne parte come agenzia. Questo non significa che non sia aperto a scambi di opinioni. Ma gli ultimi venticinque anni non mi fanno sperare in soluzioni da quell’ambito. Tuttavia, sarei ben lieto di rimangiarmi queste affermazioni.
Cosa il Club potrebbe fare per quanto riguarda la formazione dei giovani?
Il mio programma sviluppa l’argomento al punto 4. In sostanza: oggi le possibilità più concrete di inserimento le dà solo Accademia perché i migliori direttori creativi delle più importanti agenzia insegnano lì. Ma c’è una enorme strettoia che non è davvero determinata dal talento. Se fai il triennio e vieni da fuori Milano, una famiglia deve investire circa 80 mila euro tra retta e mantenimento a Milano. E non parliamo di Harvard, che produce laureati da 80 mila $ all’anno. Qui la maggior parte non guadagnerà nemmeno in 10 anni quella cifra. Tra le varie cose che voglio fare c’è quella di selezionare un gruppo di giovani sulla base del talento, delle reali potenzialità e dar loro una formazione gratuita facendoli girare nelle agenzie più importanti che si offriranno. Vorrei anche dare l’alloggio a Milano gratuito per chi viene da fuori. In questo senso sto cercando di avere incontri con Banche già in questi giorni. Anche se sarebbe più giusto aspettare l’elezione. Ma alcuni contatti mi hanno anticipato che l’operazione è fattibile.
Salvatore Sagone
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