domenica 26 giugno 2011
Patty Smith: Less Advertising, More Creativity (e io aggiungo come bilancio di Cannes: Meno Grandi Agenzie, Più Creativi Giovani ed Indipendenti)
Meno Pubblicità, Più Creatività: queste poche parole, scolpite nel marmo, fanno da lapide al Festival di Cannes 2011. Le ha scritte la grande poetessa rock invitata a parlare di musica e comunicazione da Tim Mellors, worldwide creative director di Grey con il vizio delle music legend attempate: in passato ci ha offerto miti come Roger Daltrey degli Who e Yoko Ono.
Anche quest’anno la mezz’oretta con la vecchia gloria ha lasciato segni importanti nel pubblico, qualche migliaio tra clienti e creativi, molti giovanissimi. E se è stata emozionante la mini show case dell’autrice di Because The Night, che vedete nel video per cui dobbiamo ringraziare Tommaso Ridolfi, ancora più affascinate il suo passaggio nella sala stampa del Festival. La signora Smith, tutta concetto e zero look (due centimetri di crescita dei capelli per l’immediato titolo di “donna più trasandata del mondo”) ha ammaliato la audience ricordando la nostra responsabilità sociale: “Chi fa pubblicità deve capire che quello che dice è come se fossero milioni di bandiere piantate nella testa della gente. Serve pubblicità più creativa, più poetica, come tanti flash nella notte…” E la sua conclusione (“We don’t need so much advertising, be creative, please!”) è suonata come un invito alla Bill Bernbach a non dimenticare che tutti lavoriamo in un’industria culturale che forma la testa ed influenza l’etica ed i comportamenti della gente comune. Più delle scuole, più delle famiglie, più dei governi.
E se la precedente edizione l’avevamo definita “Il Festival della Restaurazione”, quest’anno abbiamo avuto la sensazione che per questa comunità di creativi sia arrivato il “Momento della Saggezza”. Nonostante tanto modernismo e contemporaneità, i contributi più emozionanti sono arrivati dai vecchi: la 65enne Patti Smith, il quasi ottantenne Edward De Bono, il settantenne Tony Hertz.
Della poetessa abbiamo già detto. Del sociologo della conoscenza De Bono dobbiamo solo segnalare che in migliaia hanno ascoltato rapiti da una presentazione senza alcun supporto spettacolare, con la stessa attenzione dello show sui nuovi talenti della Saatchi. Per dirvi quanto asciutta e sobria sia stata, basta dire che il vecchio studioso si è fatto trovare già seduto, perché non avrebbe potuto attraversare il palco, viste le sue condizioni fisiche. Non ha usato KeyNote, né Power Point, né sofisticati filmati o musiche seducenti a supporto. Semplicemente ha parlato e scritto, usando i pennarelli: singole parole e segni su un foglio di carta, riproiettati su grande schermo. Ha esordito prendendo in giro il delirio di cultura ecologista che sta dominando il mondo, chiedendo di abbandonare il Green Thinking a favore di un sano ritorno al Pensiero e Basta, senza alcuna etichetta. Ha poi invitato tutti alla responsabilità sociale nei confronti del lavoro di comunicatore. Ma soprattutto ha dimostrato che è la sostanza del pensiero, quella che conta. La forma, che pure è grande parte del mestiere dei pubblicitari, alla fine è banale decorazione.
Infine Tony Hertz, un uomo, un nome una missione. Con quel cognome, non poteva che essere uno dei più grandi produttori audio della storia della pubblicità. Non ha potuto vincere tanti premi a Cannes perché la radio ha un suo concorso solo da pochi anni. Ma Tony può essere considerato il Joe Pitka del suono: logico che il suo workshop, in una saletta da 50 posti, faccia il tutto easaurito con il doppio in piedi e altrettanti ritardatari rimasti fuori a smadonnare in lingue esotiche. I pochi fortunati si sono sentiti proporre una serie di classici e sensati consigli sulla scrittura. Alcuni li avevo sentiti addirittura alla fine degli anni ’80, quando Tony fu invitato da Fabio Ritter in Italia. Ma la sintesi del suo percorso su “ Come presentare ai clienti affinchè le vostre idee non vengano uccise” va al di là del singolo media. Ha raccomandato di mettere cura anche nella fase di presentazione, non solo in quella creativa. Ha suggerito di lasciare ai clienti middle manager, dopo le prime riunioni, efficaci strumenti di presentazione interna, perché possano presentare ai loro capi senza che le idee restino indifese nelle riunioni che contano. Ha ricordato di provare sempre le presentazioni, come in un vero spettacolo. Ha ricordato tutte quelle piccole stupide cose che permettono ad uno script geniale di essere quello che si merita: approvato e prodotto, anche nell’era delle presentazioni via email e dei wiki. Il massimo del buonsenso è stato risottolineare che tutto lavoro di creazione, non solo quello radio, è fatto di dettagli che sempre più spesso, per mancanza di tempo, o di denaro, non curiamo abbastanza. E perfino Josè Mourinho, altro grande comunicatore, sostiene che le vittorie si costruiscono sui dettagli.
Questo per quanto riguarda i vecchi saggi, ed i loro messaggi di buonsenso: hanno reso questo festival unico. Se invece scandagliamo tra i contributi dei giovani, onestamente sono poche le cose che portiamo a casa. Non ci ha impressionato per esempio il giovane Murdoch, che ha detto banalità tecnologiche che non ti aspetti dal rampollo del padrone di Sky, del Wall Street Journal e di un impero da 23 miliardi di dollari. L’unico piccolo sorriso quando, rispondendo ad una domanda su Berlusconi, ha detto: “Prime Minister is a unique business model”, sottolineando una volta ancora l’atipicità della nostra situazione.
Quello che invece ci è molto piaciuto è che il 50% dei premi creativi italiani (1 Leone d’Argento e 3 di Bronzo), arrivi da agenzie indipendenti (Auge di Ariagno e Natale) o dai giovani creativi di “Tu mi piaci”. Davide Mardegan, 26 anni, insieme al coetaneo Clemente De Muro e al ventottenne Niccolò Dal Corso, oggi riuniti sotto la sigla Cric (i primi due sono lì in alto con me, ripresi al party in cui hanno avuta la certezza del premio), sono stati la ciliegina su una bellissima ma piccola torta. Ripeto, personalmente il loro film non è tra i miei preferiti, lo trovo poco innovativo in termini di lunguaggio. Ma il grande sforzo per portarlo a premio realizzato comunità dei creativi (dal giurato Bertelli al presidente dall’ADCI Guastini che gli inviava via mail supporti per la difesa della causa forntiti da altri soci) è stato davvero encomiabile. Per una volta si è resistito alla tentazione di spararsi addosso, o di vomitare insulti sui blog anonimi. Che sia il segnale dell’inizio del ridimensionamento degli interessi personali e il via alla difesa della classe creativa italiana? Sarebbe una bel momento di Buonsenso e Saggezza Nazionale. Ma anche l’anno scorso l’abbuffata di premi di Auditorium Heineken sembrava dovesse dare il via ad una grande rinascita, che invece non c’è stata. Quindi possiamo davvero ribadire la richiesta globale di Patty Smith con un augurio molto locale. Meno pubblicità, più creativi giovani e più agenzie indipendenti italiane.
D'altronde, da chi gestisce l’80% delle risorse nazionali, è arrivata solo la boutade di George Revenue. Giovedì 30, la prossima assemblea di Assocomunicazione sarà la migliore occasione per fare il punto sullo stato dell’arte. Con la metà dei premi di Cannes che arrivano extra associazione, sarà dura ribadire quello che Peter Grosser aveva dichiarato neanche tre settimane fa: “Noi siamo le Buone Agenzie. Gli altri sono i Cattivi che rovinano il mercato.”.
Insomma, si ricomincia con una sola grande certezza, che ci arriva da una grande poetessa: non abbiamo bisogno di tutta questa Pubblicità. Quello che ci serve, è più Creatività.
Meno grandi agenzie, e più creativi. Giovani, indipendenti, capaci di consorziarsi e dimostrare le proprie capacità. Sono già sul mercato. Basta guardarsi intorno per intercettarli. Noi lo continuiamo a ripetere da anni. Ci voleva un festival internazionale per dimostrare a tutti che è vero.
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