venerdì 24 giugno 2011

Space available in Cannes/5_Do You Have 20Something?



Gli ultimi giorni a Cannes diventano una specie di caccia al tesoro. Tutti corrono da qualche parte, dove è MUST esserci o essere stato invitato, se no non esisti. Io invece ho schivato le solite code epocali per la Saatchi & Saatchi New Talent Shocase. Era profeticamente intitolata “Hello Future”, e potete vederla anche voi sul sito del festival, dove da oggi è in riproduzione gratuita.

Ho cercato invece di accogliere il futuro ed evitare le code, mettendomi seduto per terra nella Young Lions Zone, dove sicuramente rovinavo l’età media. Ma visto che non ho fatto fatica a rialzarmi e la mia maglietta ha riscosso discreto successo tra i ragazzi presenti, non ho fatto certo una brutta figura, nonostante i capelli da Old Lion. Anzi, alla fine della MasterClass di Elise Eeckhout, 22 anni, studentessa all’ultimo anno di una scuola di pubblicità belga, dopo l’ultima domanda sono stato coinvolto in una specie di seduta di autoanalisi con tutti i protagonisti della lezione: abbiamo parlato di come potrebbero essere le agenzie domani: alla fine è stato il vero tema della giornata.

In queste MasterClasses si prova sempre a dare una prospettiva originale: pensate che solo due anni fa David Droga incantò la audience con uno speech memorabile intitolato “Future is this afternoon”. Ma è facile provare a fare previsioni quando sei un attore del cambiamento. Di solito gli altri relatori ci provano e magari non ci prendono, oppure additrittura sfuggono: l’anno scorso Steve Ballmore, socio di Bill Gates, bucò all’ultimo minuto il temuto incontro con gli studenti. Forse gli avevano detto che erano tutti Applemuniti ed un po’ incazzati col monopolista di Seattle.

Il discorso di Elise è stato davvero incantevole, perché fato da una ragazza per i ragazzi. Introdotto dalla slide che vedete sopra e che riassume lo stato d’animo di tutti i beginners di qualsiasi mestiere, con particolare attenzione a quelli creativi. Infatti, che tu abbia fatto una scuola come oggi si usa o che sia arrivato a questo mestiere in modo assolutamente casuale, come capitò a me e a molti colleghi, all’inizio il problema è che anche se sei il più grande genio dell’emisfero (non era certo il mio caso, ma non sottilizziamo) il difficile è dimostrarlo. Si è forti solo del proprio entusiasmo, ma chi ti cuole assumere non può farsi convincere da alcuna esperienza. E inizia un processo circolare di autocombustione che culmina con il cartello “si cerca apprendista commessa con esperienza” che a volte si trova fuori dai negozietti di provincia.

A questo punto, o i direttori creativi imparano a riconoscere il talento anche solo dallo sguardo dei ragazzi (e vi assicuro che è possibile), o ci si affida ad un’invenzione come quella dei matti del belgio, paese che ha già inventato lo sciopero delle agenzie contro le gare. 20 Something è nata allo stesso modo. Cioè pensando ad un agenzia nell’agenzia, formata solo da studenti all’ultimo anno di scuola, che è tutorata dai titolari della main agency 6+1: fornisce servizi creativi e strategici di nicchia a clienti che hanno bisogno di comunicare proprio con quella generazione di consumatori che hanno 20 anni e qualcosa.

Immagino già la levata di scudi: ecco, parliamo del solito sfruttamento degli stagisti, lo scandalo delle agenzie italiane che vivono in perenne squilibrio tra dirigenti costosissimi e interi reparti fatti di gente con contratti trimestrali non remunerati, che ha fatto la fortuna di autori anonimi altrimenti destinati al silenzio. In realtà, quella presentata dalla biondina belga è proprio un’altra cosa. E’ innanzitutto una campagna realizzata dagli studenti di praticamente tutte le scuole di comunicazione del paese, che contrasta proprio il fenomeno degli stagisti/schiavi: “Je ne suis pas un chien” recita l’head line in tre lingue. L’immagine di giovani studenti, al guinzaglio di finti direttori creativi, ha lanciato il recruitment che ha coivolto più di 400 studenti. Il dieci per cento ha fondato 20 Something, ed ha cominciato a fare un internship non in un agenzia qualsiasi, ma “nella tua propria agenzia”: quella fatta da solo studenti. Capace di gestire meglio di chiunque altra i social media ed il crowdsourcing sano, non quello dei siti pirata. Fatta di gente che è digital native, ma ha studiato la storia di questo mestiere. Ispirata dal’'entusiasmo di chi conosce la propria nicchia meglio di qualunque altro creativo. Alla fine, nel primo anno, hanno lavorato per una casa di produzione fiamminga, ed hanno lanciato film generazionali. Hanno lavorato per Sony Music, ed hanno realizzato lanci di gruppi musicali locali in modo innovativo. Hanno aiutato produttori di soft drink a costruire gli approcci ai social network. E così via.

Per sostenere la sfida serviva una vera agenzia parallela a 20Something. Lo ha fatto la 6+1 di Bruxelles, diretta da un ragazzo di 34 anni e dal suo socio di 37: i giovani imprenditori,lì sono la normalità. Hanno dovuto investire tempo, denaro, spazio, softwware su un progetto davvero innovativo e posizionante. Magari hanno dovuto registrare anche la delusione di qualche studente che ha mollato in corsa, perché in gruppo non si produce un book individuale, ma lavoro vero da condividere con tutto il team di studenti. E sopportare la reazione stizzita delle altre agenzie che hanno contestato l’iniziativa, parlando di dumping. La risposta, affidata sempre alla esile biondina sognatrice, è stata semplice e condivisibile: i clienti lavorano con i budget che hanno. E quelli che hanno scelto 20Sonmething non avrebbero potuto permettersi un’agenzia tradizionale.

Insomma, i soliti inghippi riservati a chi prova a scrivere il futuro. Ma a guardare le facce di chi si è inventato questo meccanismo, e di chi se lo sentiva raccontare, pare che sia una splendida maniera di cominciare a fare un lavoro mentre si studia, evitando gli sfruttamenti e ritornando ai basic di questo mestiere: entusiasmo, allegria, collaborazione.

Magari è una lezione che può servire anche al presidente dell’ADCI, che vuole dare un segnale al mercato a favore dei giovani, contro gli stage tritatalento e non retribuiti. Magari è uno speech che può affascinare e ispirare i “bamboccioni” italiani, che amano lamentarsi a prescindere della situazione negativa.

Elisa ed i suoi soci sono disponibili a venire a raccontarci come si sono inventati 20Something. Una bella occasione per verificare se l’Italia pubblicitaria è un paese per vecchi. O se vogliamo provarci anche noi, a far succedere le cose.

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