venerdì 8 luglio 2011

UPA: tra modernità e tradizione, tra desiderio e realtà


“Quando si opera nella complessità, i contenuti sono fondamentali.” Ha esordito così, il presidente degli investitori pubblicitari all’assemblea pubblica che anche quest’anno, come sempre, ha fatto il punto sul nostro mercato.

Ha parlato dei creativi, di chi produce senso, emozioni, sogni. Da uomo colto ha anche ben definito cosa occorre per poter industrializzare questo prodotto: “Tecnica, talento anticipatore, freschezza del linguaggio.”

Ha parlato della situazione del paese: “Lo scenario è inquietante, da preoccupazione: la disoccupazione giovanile è imbarazzante, l’erosione del risparmio ha portato le famiglie a rompere i salvadanai che le rendevano forti.”

Poi ha affrontato le soluzioni: ha parlato di tv generalista come “baluardo contro la frammentazione”, di obbligo alla trasparenza per le aziende, di futuro dei media ubiquo (cioè mobile), di necessità di modernità, perché la tecnologia non si ferma.

Fino a qui, tutto tranquillo. Sulla modernità, però, arriva la sorpresa. Perché l’encomiabile richiesta di modifica dell’articolo 21 della Costituzione, per fare in modo che includa anche il web tra le forme di espressione da tutelare, ha generato un solo applauso in sala: il mio. Ne vado orgoglioso. Subito dopo, Sassòli de Bianchi fa appello alla necessità che anche sul web debba essere tutelata la proprietà intelletuale. Gli applausi scrosciano.

Il problema sta tutto qui. Una platea di industriali, produttori, distributori, utenti pubblicitari faticano a digerire il concetto di modernità dopo che negli ultimi 15 anni ha difeso oltre misura il sistema televisiocentrico che ha rallentato la modernizzazione di questo paese.

Allo stesso modo questa comunità non può pensare che nella modernità ci saranno le regole del passato. Il diritto d’autore è stato creato dalle grandi case discografiche americane, è stato sostenuto dalle grandi major cinematografiche, da Walt Disney in avanti. Solo ed esclusivamente per proteggere i profitti del sistema industriale. Mica per difendere gli autori, che infatti intascano sempre le briciole.

E' difficile credere che i grandi utenti italiani pensino che davvero il futuro della tecnologia delle Comunicazioni Sociali Generate dagli Utenti (ormai questa deve essere la definizione di Internet) sarà normato dagli stessi che per anni hanno fatto finta che non esistesse o l’hanno frenato scientemente, per ragioni politiche e sociali comprensibili ma non condivisibili.

Divertente, e interessante, è stato soprattutto il finale dell’assemblea: una bella relazione di Simon Mainwaring, intitolata profeticamente “The Language of the Shared Future”. Divertente perché sono gli utenti pubblicitari a disattendere quello che ha proposto Simon.

Lui è proprio quello che io vorrei essere 'da grande'. E’ stato un fantastico creativo, ma oggi si occupa di leggere la realtà e di sostenere le marche in questo momento di discontinuità e frammentazione. E’ un ex copywriter che vede più lontano di quanto le marche siano in grado di fare oggi, uno sorta di strategic planner sociale.

Ebbene, ha dato tre consigli alle brand: dovranno rendere piene di senso le vite dei proprio consumatori, dovranno festeggiare i propri consumatori, dovranno renderli centrali.
E ha concluso con le tre guidelines per il futuro.
Ha detto che la tecnologia ci sta insegnando ad essere di nuovo umani;
ha detto che il futuro del profitto sarà la Proposta, cioè la promessa, l’impegno che le marche prenderanno con la gente;
ha detto che la Speranza del Business sarà il Business della Speranza, quello che le marche sagge sapranno animare nella gente.

Sono tre inviti a convidere con i propri consumatori sogni, aspettative, contenuti, speranze. Tre consigli che, temo, saranno disattesi dalle marche italiane, come dalle pubbliche amministrazioni e dal governo. Assai più rassicurante, infatti, rifugiarsi nella tv generalista, soprattutto nei momenti di crisi.E quando si invocano i contenuti come valido aiuto per uscire dalla crisi, si fa ben poco per sviluppare la cultura creativa.

Sassoli è un presidente colto, attivo ed intelligente. Ha volutoinviare un segnale alla platea, per spingerla a imboccare con più convinzione la via dell'innovazione. Temo però che le sue proposte non verranno ascoltate dalla maggiornaza dei suo associati. Nella speranza, ovviamente,di essere smentito dai fatti.

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