Voglio avviare la mia collaborazione con "Lato B" portando una riflessione sulla crescente integrazione fra atomi e bit.
La nostra vita è sempre più intrisa di flussi informativi digitali che costantemente pervadono lo spazio in cui viviamo e che siamo in grado di utilizzare grazie a dispositivi come telefoni cellulari, palmari, laptop... elementi di quello che mi piace definire il nostro "sesto senso digitale", sempre più sviluppato e capace di darci concretamente un'estensione delle nostre potenzialità relazionali e cognitive.
Non tutti gli utenti dei dispositivi citati sono coscienti delle reali potenzialità che il sesto senso digitale mette loro a disposizione ma è innegabile che il trend vada sempre più verso un'integrazione dei "livelli" digitale e fisico. Le numerose forme di connettività oggi disponibili spingono anche gli utenti meno "tecnologici" a scoprire l'uso di Internet in mobilità, magari in abbinamento a tecnologie come il GPS che sta rivoluzionando il modo di relazionarsi con il territorio.
La frontiera della cosiddetta "realtà incrementata" è ormai superata dai numerosi servizi che abbinano la geolocalizzazione alla ricerca di informazioni contestuali on-line. Il successo dell'iPhone e delle numerose applicazioni che si basano proprio su questo abbinamento è una testimonianza concreta dell'interesse di una certa fascia di utenti verso nuove forme di integrazione fra atomi e bit.
E' chiaro che siamo solo agli inizi di un'era che ci metterà a disposizione strumenti sempre più sofisticati e integrati nel nostro modo di vivere. Wearable computer costantemente connessi in rete, dispositivi di sovrapposizione del layer digitale sul livello fisico attraverso proiezioni retiniche e chissà quali altre tecnologie strabilianti sono sempre più vicine alla nostra quotidianità.
E' ragionevole credere che si assisterà a un forte ampliamento del digital divide culturale che già oggi è evidente anche in fasce sociali colte e benestanti ma poco attente alle opportunità che un uso consapevole e pervasivo della tecnologia mette a disposizione. Non è questione di soglie di reddito o culturali, almeno nei paesi del primo mondo, le difficoltà nel comprendere che l'integrazione fra atomi e bit sta aprendo le porte di un mondo nuovo sono davvero di tipo personale e portano a un sottoutilizzo drammatico delle potenzialità di quegli strumenti che via via sono diventati sempre più parte del nostro stile di vita e, a breve, del nostro essere.
L'informazione è potere e la capacità di accedervi e di gestirla in tempo reale consente di esercitare questo potere in ogni momento. Il vantaggio competitivo di chi è capace di gestire le informazioni più rapidamente di altri è innegabile, in ogni campo. Atomi + bit ci porteranno davvero verso una "extended life" che non distingue più fra ciò che è "fisico" e ciò che è "digitale"? Io credo di si ma dovremo essere capaci di affrontare nuove sfide sociali e culturali verso le quali, oggi, la stessa classe dirigente non sembra particolarmente attenta.
Massimo Giordani
Video relativo alla tesi di laurea in Grafica e Progettazione Multimediale di Soryn.
sabato 2 maggio 2009
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9 commenti:
ENNEAGRAMMA PER UNA "EXTENDED LIFE"
Il titolo che ho dato a questo mio commento è il tentativo, d’istinto, di dare una risposta all’ultima affermazione di Massimo …“dovremo essere capaci di affrontare nuove sfide sociali e culturali verso le quali, oggi, la stessa classe dirigente non sembra particolarmente attenta”
Ma, dopo aver dichiarato l’ENNEAGRAMMA come presunta risposta, voglio cominciare dall’inizio del ragionamento di Massimo !! Se lo merita, perché l’ardita connessione tra ATOMI e BIT è così inusuale ed ardita che questa scintilla creativa innesca una reazione a catena !
Intanto rendo merito a Massimo di aver scelto la parola “senso” e il significato “sesto senso” come le capacità delle nuove tecnologie digitali di costituire davvero un nuovo senso…il sesto !
Le domande che mi sono posto, quando ho sentito per la prima volta questa idea, sono state: in che cosa si materializza questo “sesto senso”, che cosa mi permette di raggiungere, di “toccare” (ecco gli atomi rispuntare), di capire, di “vedere” ciò che prima non vedevo…l’invisible che cos’è ?
Mi sono dato delle risposte e mi piacerebbe molto ascoltare le reazioni di Massimo.
La mia risposta è la seguente: esiste una “intelligenza collettiva” che noi sperimentiamo di solito in piccoli gruppi nel lavoro e nella vita personale (un progetto aziendale, un consiglio di classe, una riunione di famiglia); Internet ci ha fatto conoscere una intelligenza diffusa molto più ampia, da decine/centinaia a migliaia/centinaia di migliaia di persone. L’intelligenza collettiva (mi sembra che la parola crowd-sourcing esprima bene questa folla che produce idee e scambia di tutto) è ciò che il “sesto senso”, costituito dalla tecnologia digitale, ci permette di far emergere, di portare alla luce, di fare esprimere. Prima (della rivoluzione digitale) era invisibile, ora diventa visibile, ora è possibile accedervi, interagire, addirittura far si che l’osservatore diventi attore ed entri nella scena…quasi con la sua corporeità, con gli atomi…
Un caso esemplare di tecnologia digitale che diventa “sesto senso” è Facebook. L’intelligenza collettiva si mostra con espressioni diversissime: oggetti digitali inusuali come un videoclip inusuale (magari solo perché rompe il nostro personale schema razionale di ascolto o mette in dubbio un nostro valore), come un dibattito tra persone imprevedibili nel mondo reale e che produce una o più buone idee, come un conflitto tra persone che …non si conoscono ma si sentono reciprocamente antipatiche in una conversazione virtuale.
Io sento che lo strumento digitale permette di vedere/toccare l’invisibile, che è costituito da…bit o atomi o tutte e due ? E’ qui che io posiziono l’Enneagramma, di cui non voglio parlare (se andate su wikipedia potete farvene un’idea vaga ed iniziale), anche come provocazione di un INIZIO di ragionamento sulla nostra EVOLUZIONE in questo contesto di innovazioni radicali che il digitale sta avviando (e siamo ai primi passi della prima infanzia !).
Che cosa voglio dire ? Voglio dire che siamo noi come persone a tutto tondo, persone olistiche cioè (uso la parola “olistico”sperando che non la valutiate troppo astratta), che siamo al centro di questo cambiamento. Ma davvero pensavamo che un “sesto senso” che improvvisamente compare nella storia dell’Umanità, non debba essere metabolizzato, appreso, sofferto, capito, rigettato, cambiato e quant’altro da ogni persona ? e che non si rifletta in una vera rivoluzione culturale, che non allarmi il “potere”, che non crei barriere (si è già coniato il termine digital divide). ?
E concludo questo breve ragionamento con una osservazione alla frase con cui Massimo, parlando della SFIDA digitale dice : “la stessa classe dirigente non sembra particolarmente attenta”.
Il problema NON si pone per la classe dirigente, “in tutt’altre faccende affaccendata”, perché se ne sta tenendo fuori un po’ per paura, un po’ per ignoranza, un po’ per altre priorità, ma si pone per TUTTI NOI, come persone, che hanno una opportunità enorme, straordinaria, di scrivere pagine innovative nei sistemi di formazione e condivisione delle scelte politiche , ossia del “potere” e quindi della TRASFORMAZIONE nel senso più concreto come: sostenibilità, inclusione, democrazia partecipata, lotta agli squilibri gravissimi NORD-SUD…e potrei continuare !
L’Enneagramma è restato nel titolo….come in fondo volevo. Essendo uno strumento sapiente e saggio per lo sviluppo umano è bene che lo si studi e lo si impari lentamente. Si cambia, se cambiamo, attraverso una ricerca, una fatica, una consapevolezza, una volontà che ci impongono lentezza ed esercizio.
Grazie Massimo.
P.S. vorrei farvi vedere un video che ho estratto e che è …un prodotto di altre intelligenze, una intelligenza che definirei, in questo caso, “CONNETTIVA” e di una intelligenza speciale dell’autore, Philip Bloom.
Non trovo ora i "bottoni" giusti ma sono sicuro che con l'aiuto del moderatore ci riuscirò !!
Molto interessante la definizione di "sesto senso digitale" che riassume una nuova modalità di percezione della realtà. Aspetto con ansia un libro di architettura dove il pop up è un modellino in scala come si vede nel filmato :-)
Epperò... pur riconoscendone le infinite potenzialità, non sono così entusiasta di una extended life che "non distingue più fra ciò che è "fisico" e ciò che è "digitale" perchè credo che atomi a bit debbano mantenere almeno una sottile linea di demarcazione. Utilizzo molti degli strumenti citati nel post, ma credo che debbano restare, appunto, "strumenti", per semplificarmi la vita, divertirmi, informarmi, permettermi di lavorare nel modo più efficiente e cost effective.
Sarò la prossima vittima del digital divide? Può darsi. Sono certa che arriverà un momento in cui certi device mi saranno ostici (e io sarò ostile di fronte al cambiamento). Per il momento posso dire che ho maturato con gli anni la convinzione che il digital divide - che in passato ho sempre attribuito a cause esterne, soprattutto in Italia, alla mancanza di infrastrutture, alle carenze formative della scuola, ad una classe dirigente non adeguata al cambiamento - sia invece il risultato di una cronica carenza di "curiosità per il nuovo" che colpisce indistintamente tutte le categorie: giovani e meno giovani, persone che avrebbero gli strumenti culturali per comprendere ma "hanno paura", adolescenti e non che vivono su Facebook e pensano per questo di essere dei gran comunicatori ma non sanno "come" si scrive una email o non sono in grado di distinguere una fonte attendibile da una bufala quando fanno una ricerca in rete.
Credo quindi che le nuove sfide debbano prima fare i conti, e un po' in fretta, anche con una alfabetizzazione informatica (si chiama ancora così?) ancora decisamente carente.
Ecco, bit+atomi (a cui aggiungerei + idee).... finalmente ci siamo: chi ha iniziato a crederci 15 anni fa, anche se a parole ostentava sicurezza, certamente nel profondo dell'anima qualche indugio sulle possibili estensioni dell'interactive thinking, lo nutriva. Ma ora, anche grazie alla crisi generalizzata, grande spartiacque tra quello che varrà e tra quello che non, il sogno di tanti 'esploratori digitali' si sta avverando e il bit si coniuga perfettamente con l'atomo (leggi: eventi+ web, unici comparti in salute), come a dire che gli italiani, zitti zitti, sono secondi al mondo nel possesso di cellulari e primi (gli ultimi dati Facebook lo confermerebbero) come trend di crescita nei riguardi dei social network. Che pensare allora? Speriamo che il social networking su mobile si sviluppi cosìchè potremmo diventare primi?
Marchionne (atomi+idee) cmq ci ha insegnato che possiamo osare....
Atomi + bit è una formula sicuramente attuale ma ritengo che abbia ancora tutta una serie di "freni" alla sua completa assimilazione.
Paradossalmente, il primo freno è la crescita caotica e tumultuosa con relativa complessità delle tecnologie digitali. Vale a dire che i tanti filoni su cui si sviluppano non sono integrati fra loro e, anzi tendono a specializzarsi creando come conseguenza un digital divide che colpisce prima di tutto gli stessi operatori del settore. Si tratta di una complessità sempre crescente che non permette una visione d'insieme, spesso anche in un singolo campo. Per personale esperienza posso parlare, ad esempio, dello sviluppo di un sito web: se qualche anno fa alla sua realizzazione contribuivano pochi soggetti, oggi sono necessarie delle competenze molto più vaste ed un numero di "specialisti" esponenzialmente maggiore. Così costi, tempi di sviluppo e realizzazione sono di pari passo aumentati. D'altra parte oggi un sito "fa" delle cose inimmaginabili solo 10 anni fa, quando il codice si scriveva spesso a mano.
Quanto affermato qui sopra ha come diretta conseguenza un eccesso di tecnologie a disposizione degli utenti che li costringono a delle scelte spesso dettate dal marketing più che dalla consapevolezza dell'utilità o della convenienza. Prendiamo ad esempio la televisione a pagamento: oggi abbiamo diverse piattaforme e tecnologie a disposizione ma per un utente medio (in tempi di soli atomi era la famosa "casalinga di Voghera") non ha, o non vuole avere, il tempo per comprendere esattamente quale scelta sia la migliore per lui. Aggiungiamo che le regole e le tecnologie cambiano con un ritmo serrato ed ecco che una tecnologia che doveva semplificare le cose e ampliare la disponibilità di fruizione diventa una cosa ostica di cui si finisce per fare un uso parziale.
L'eccesso è anche nel numero di "cose" che ci vengono fornite: nel campo dell'informazione scritta siamo passati dall'edicola sotto casa con la sua limitata scelta di giornali (atomi) a giornali, blog, social network e testate on line (bit) che hanno talmente moltiplicato le possibilità di informarsi da creare una specie di caos mediatico. Purtroppo se i bit si sono moltiplicati, i nostri neuroni ed il tempo disponibile sono rimasti gli stessi di prima.
Il digital divide innegabilmente esiste, vivere fuori dai centri abitati (e non solo) è spesso sinonimo di isolamento fisico ma soprattutto digitale. Però ritengo che il principale ostacolo resti la complessità. Abbiamo strumenti splendidi come, ad esempio, gli smartphone, ma quanti di noi sanno utilizzarne tutte le funzioni? A mio giudizio oggi abbiamo prima di tutto un problema di "brain divide" dato dalla apertura mentale alle innovazioni ed al sapersi adattare ad esse. E' una lotta impari perché il ritmo di crescita è assolutamente innaturale rispetto alla evoluzione delle conoscenze umane vissuto fino ad una generazione fa. Difficile pensare che in pochi anni si possa rivoltare come un calzino la testa degli uomini. Pensiamo anche che stiamo parlando di una piccola parte dell'umanità. La stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta è ancora alle prese con drammatici problemi di atomi (cibo, sanità, analfabetismo) e la loro frequentazione dei bit è, al momento, una lontana chimera.
Il nostro sesto senso è ancora in versione beta e ritengo che ancora per molto (sullo stile di Google) resterà tale.
Concordo con Ada che qualsiasi strumento debba rimanere uno "mezzo", per semplificarci la vita e ridurre l’analfabetismo digitale (percentuale sempre più alta in Italia e nel mondo)
Pensiamo alle nuove generazioni, penso ai bambini che oggi hanno da 0 a 3 anni.
Esistono giochi elettronici che stimolano il pensiero attraverso il divertimento, possono contribuire a sviluppare abilità di concentrazione e di riflessione e anche ad incrementare la fantasia.
L'augmented reality è parte sempre più integrante della cultura delle nostre società che è naturale, “evoluzionistico” mi verrebbe da dire, che i piccoli della nostra specie ne facciano un uso sempre più precoce.
Quale "sesto senso" si svilupperà in menti così "vergini"?
Io posso fare solo una analogia con il passato: quando il cannocchiale venne inventato da Lipperheym in Olanda, nessuno pensò di puntarlo verso il cielo. Mancava la "forma mentis" per farlo.
Galilei, pur carente in fisica ottica (lo provano le fonti) possedeva una forma mentis tale da permettergli di usare il nuovo strumento da un punto di osservazione diametralmente opposto e innovativo rispetto a quello di qualsiasi suo contemporaneo. E infine di scrivere il "Sidereus Nuncius" e ...passare alla storia per questo.
Attualmente la nostra generazione usa i nuovi strumenti digitali, compresi gli ormai scontati social network, il web collaborativo, come i contemporanei di Galilei utilizzavano lo strumento a lenti.
Manca il salto di paradigma che questa generazione subirà prima o poi, dalla mano di chi, più illuminato, punterà - per così dire - “verso il cielo" gli strumenti digitali che noi oggi usiamo ancora osservando ostinatamente il pavimento.
Da giovane fisico, che appena laureato ha avuto la possibilità di svolgere il proprio dottorato all'estero, posso dire che la possibilità di lavorare in uno staff come quello de del Prof. Jeff Han (http://www.cs.nyu.edu/~jhan) mi ha dato modo di imparare una cosa: che qualsiasi innovazione scientifica porta con se spin-off non prevedibili al contorno.
Quando il Prof. Han ha presentato al mondo la sua prima "interface-free", sembrava qualcosa di veramente innovativo... ma pochi sapevano che già il suo gruppo stava lavorando ad applicazioni in lunga permanenza nello spazio per applicazioni mediche (Robotica in chirurgia" a distanza).
Sono ricerche che tra non molti anni vedremo in ogni ospedale del mondo.
Ciò che intendo è che è normale che ci sia una larga fetta di persone che non usa correttamente la tecnologia, che non sa usare correttamente il proprio smartphone ... e anche chi lo sa usare ne ignora il funzionamento fisico.
Ma quelle stesse persone ignorano anche cosa che la Pet (tomografia a emissione di positroni) che da anni salva molte vite è uno spin-off delle applicazioni condotte nei laboratori della fisica delle particelle.
La usano e basta. E' un prodotto della ricerca alla portata di chiunque... che porta vantaggi al 99 percento della popolazione senza che questa ne conosca minimamente il funzionamento...
E' un bene? Un male? Non so...non sta a me dirlo. So solo che ha il vantaggio di salvare molte vite e che è il prodotto di una ricerca condotta per tutt'altri obiettivi! :-)
Un punto centrale della suggestiva riflessione di Massimo risiede, a mio avviso, nelle difficoltà di tipo personale che si incontrano sul cammino che può condurre verso l’integrazione, quella possibile, tra atomi e bit.
Chiarito che le fasce sociali colte ed agiate non sono, per questo, le più attratte dallo scenario digitale viene da chiedersi il perché del fenomeno.
Nel tentativo di risolvere il quesito non posso fare a meno di pensare al bit come ad una unità di misura che, in quanto tale, deve applicarsi ad un oggetto. Il bisogno d’informazione, appunto, è del tutto soggettivo nella quantità, nella qualità e nella fruibilità.
Il fascino istituzionale della carta stampata e delle TV permane una sirena che esercita una fatale attrazione verso una parte consistente della popolazione.
Nell’immaginario collettivo, della parte più conservatrice dell’opinione pubblica, i media tradizionali sono ancora considerati più attendibili e più facilmente raggiungibili di quanto si può reperire in rete. In altre parole il digital divide trova nella cosiddetta borghesia le condizioni più favorevoli per alimentarsi, e si perpetua nell’atteggiamento di un recettore passivo.
Anche trattando in modo più ampio la dicotomia atomi e bit si ritrova la soggettività dei bisogni e delle aspettative degli utenti attuali e potenziali. A questo riguardo va detto che la “vita digitale” non è semplice per nessuno, per una serie di fattori.
Tra questi intravedo l’eccesso dell’ offerta di hardware, la ridotta diffusione della banda larga, la limitata trasparenza delle tariffe, i mancati investimenti sulle reti fisse e mobili da parte di ISP importanti, la rapida obsolescenza dei prodotti tecnologici, la posizione dominante di Microsoft, il timore della perdita dei dati.
Un volano strategico per fronteggiare il digital divide arriverà dalle pubbliche amministrazioni. Se saranno in grado di rispondere con modalità on line, affidabili e diffuse, alla domanda che proviene dai cittadini si produrrà una motivazione forte all’approccio digitale.
Al momento il sesto senso digitale può, oggettivamente, raggiungere una limitata parte di popolazione, e solo il segmento più alfabetizzato di utenti.
Credo che Massimo abbia aperto, in modo acuto e raffinato, una finestra da cui si intravede uno scenario affascinante la cui realizzazione richiede tempo, investimenti, regole e iniziative culturali.
Ci troviamo alle prese con il sesto senso digitale inteso come percezione di un immateriale ancora in parte indefinito e, certamente, molto ostacolato.
Mi si rappresenta chiaramente un futuro che non distingue tra fisico e digitale, si tratterà di effettuare un cambiamento epocale, pari a quello già avvenuto con il passaggio dalla tradizione orale alla scrittura.
Non so immaginare quando. L’avvenuta globalizzazione comporterebbe l’esigenza di simultaneità in una sorta di ipotetico cut over per il passaggio ad una nuova dimensione accessibile a tutti i popoli del pianeta.
Resterebbe scoperta l’area delle emozioni.
Un punto centrale della suggestiva riflessione di Massimo risiede, a mio avviso, nelle difficoltà di tipo personale che si incontrano sul cammino che può condurre verso l’integrazione, quella possibile, tra atomi e bit.
Chiarito che le fasce sociali colte ed agiate non sono, per questo, le più attratte dallo scenario digitale viene da chiedersi il perché del fenomeno.
Nel tentativo di risolvere il quesito non posso fare a meno di pensare al bit come ad una unità di misura che, in quanto tale, deve applicarsi ad un oggetto. Il bisogno d’informazione, appunto, è del tutto soggettivo nella quantità, nella qualità e nella fruibilità.
Il fascino istituzionale della carta stampata e delle TV permane una sirena che esercita una fatale attrazione verso una parte consistente della popolazione.
Nell’immaginario collettivo, della parte più conservatrice dell’opinione pubblica, i media tradizionali sono ancora considerati più attendibili e più facilmente raggiungibili di quanto si può reperire in rete. In altre parole il digital divide trova nella cosiddetta borghesia le condizioni più favorevoli per alimentarsi, e si perpetua nell’atteggiamento di un recettore passivo.
Anche trattando in modo più ampio la dicotomia atomi e bit si ritrova la soggettività dei bisogni e delle aspettative degli utenti attuali e potenziali. A questo riguardo va detto che la “vita digitale” non è semplice per nessuno, per una serie di fattori.
Tra questi intravedo l’eccesso dell’ offerta di hardware, la ridotta diffusione della banda larga, la limitata trasparenza delle tariffe, i mancati investimenti sulle reti fisse e mobili da parte di ISP importanti, la rapida obsolescenza dei prodotti tecnologici, la posizione dominante di Microsoft, il timore della perdita dei dati.
Un volano strategico per fronteggiare il digital divide arriverà dalle pubbliche amministrazioni. Se saranno in grado di rispondere con modalità on line, affidabili e diffuse, alla domanda che proviene dai cittadini si produrrà una motivazione forte all’approccio digitale.
Al momento il sesto senso digitale può, oggettivamente, raggiungere una limitata parte di popolazione, e solo il segmento più alfabetizzato di utenti.
Credo che Massimo abbia aperto, in modo acuto e raffinato, una finestra da cui si intravede uno scenario affascinante la cui realizzazione richiede tempo, investimenti, regole e iniziative culturali.
Ci troviamo alle prese con il sesto senso digitale inteso come percezione di un immateriale ancora in parte indefinito e, certamente, molto ostacolato.
Mi si rappresenta chiaramente un futuro che non distingue tra fisico e digitale, si tratterà di effettuare un cambiamento epocale, pari a quello già avvenuto con il passaggio dalla tradizione orale alla scrittura.
Non so immaginare quando. L’avvenuta globalizzazione comporterebbe l’esigenza di simultaneità in una sorta di ipotetico cut over per il passaggio ad una nuova dimensione accessibile a tutti i popoli del pianeta.
Resterebbe scoperta l’area delle emozioni.
Un punto centrale della suggestiva riflessione di Massimo risiede, a mio avviso, nelle difficoltà di tipo personale che si incontrano sul cammino che può condurre verso l’integrazione, quella possibile, tra atomi e bit.
Chiarito che le fasce sociali colte ed agiate non sono, per questo, le più attratte dallo scenario digitale viene da chiedersi il perché del fenomeno.
Nel tentativo di risolvere il quesito non posso fare a meno di pensare al bit come ad una unità di misura che, in quanto tale, deve applicarsi ad un oggetto. Il bisogno d’informazione, appunto, è del tutto soggettivo nella quantità, nella qualità e nella fruibilità.
Il fascino istituzionale della carta stampata e delle TV permane una sirena che esercita una fatale attrazione verso una parte consistente della popolazione.
Nell’immaginario collettivo, della parte più conservatrice dell’opinione pubblica, i media tradizionali sono ancora considerati più attendibili e più facilmente raggiungibili di quanto si può reperire in rete. In altre parole il digital divide trova nella cosiddetta borghesia le condizioni più favorevoli per alimentarsi, e si perpetua nell’atteggiamento di un recettore passivo.
Anche trattando in modo più ampio la dicotomia atomi e bit si ritrova la soggettività dei bisogni e delle aspettative degli utenti attuali e potenziali. A questo riguardo va detto che la “vita digitale” non è semplice per nessuno, per una serie di fattori.
Tra questi intravedo l’eccesso dell’ offerta di hardware, la ridotta diffusione della banda larga, la limitata trasparenza delle tariffe, i mancati investimenti sulle reti fisse e mobili da parte di ISP importanti, la rapida obsolescenza dei prodotti tecnologici, la posizione dominante di Microsoft, il timore della perdita dei dati.
Un volano strategico per fronteggiare il digital divide arriverà dalle pubbliche amministrazioni. Se saranno in grado di rispondere con modalità on line, affidabili e diffuse, alla domanda che proviene dai cittadini si produrrà una motivazione forte all’approccio digitale.
Al momento il sesto senso digitale può, oggettivamente, raggiungere una limitata parte di popolazione, e solo il segmento più alfabetizzato di utenti.
Credo che Massimo abbia aperto, in modo acuto e raffinato, una finestra da cui si intravede uno scenario affascinante la cui realizzazione richiede tempo, investimenti, regole e iniziative culturali.
Ci troviamo alle prese con il sesto senso digitale inteso come percezione di un immateriale ancora in parte indefinito e, certamente, molto ostacolato.
Mi si rappresenta chiaramente un futuro che non distingue tra fisico e digitale, si tratterà di effettuare un cambiamento epocale, pari a quello già avvenuto con il passaggio dalla tradizione orale alla scrittura.
Non so immaginare quando. L’avvenuta globalizzazione comporterebbe l’esigenza di simultaneità in una sorta di ipotetico cut over per il passaggio ad una nuova dimensione accessibile a tutti i popoli del pianeta.
Resterebbe scoperta l’area delle emozioni.
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