In occasione della Convention 2009, la TP ha invitato i rappresentanti delle altre associazioni a confrontarsi sul futuro dell’associazionismo nel corso della tavola rotonda "Associazioni: domani è un altro giorno".
Tema principale, le problematiche che derivano dalla parcellizzazione delle associazioni, fenomeno che, come ha sottolineato il presidente Acpi Fidelio Perchinelli, ne pregiudica l’utilità. “Nella nostra industry la committenza e i concessionari/editori sono rappresentati in maniera unitaria da UPA e Fieg, mentre la consulenza non riesce a rappresentarsi in maniera organica”. Questo non è conveniente. “Uno dei principali problemi delle associazioni è quello dei finanziamenti. Se mettessimo insieme le risorse finanziarie potremo non solo dare vita a più iniziative e rispondere ad esigenze che oggi non riusciamo a soddisfare, ma anche rafforzare il nostro potere di lobby soprattutto nei confronti della Pubblica Amministrazione, che ci conosce poco e male anche a causa della sua consuetudine a ragionare in termini numerici più che valoriali”. Di Lobby ha parlato anche Furio Garbagnati, presidente Assorel, dicendo: “Come singole associazioni non siamo mai riusciti a fare grandi cose in termini di lobby, contiamo poco. Sappiamo bene che per le istituzioni è più importante il numero dei dipendenti assunti piuttosto che il pensiero sviluppato. Per questo dovremo trovare interessi comuni da portare avanti insieme. Dobbiamo però stare attenti. Personalmente non ho perplessità di natura ideologica nei confronti di ipotesi di unione tra associazioni di professionisti e imprese, ma possono esserci dei problemi tecnico organizzativi, in quanto esistono problematiche che vengono affrontate in maniera profondamente differente”.
Un esempio è stato ripreso da tutti i partecipanti alla tavola rotonda: da tre anni le associazioni cercano di trovare un approccio unitario per affrontare il problema delle gare e non ci sono ancora riusciti. “È bellissimo parlare di unitarietà – ha concluso Garbagnati - ma è necessario scegliere ambiti specifici in cui andare avanti insieme e procedere”.
Emerge l’esigenza di una “casa comune” delle associazioni, che serva a gestire nel modo migliore le risorse e crei una via di uscita per la crisi dell’associazionismo.
Di casa comune come soluzione ha parlato anche Biagio Vanacore affermando: “Io vedo nel domani una casa comune che tenga conto di quelle che sono le differenze tra le imprese e i professionisti e che aiuti le associazioni ad uscire dalla crisi”.
Una crisi che per Alessandro Colesanti, vicepresidente Unicom, non esiste “perché in realtà in Italia non esiste l’associazionismo”. I dati che Colesanti ha riportato sono significativi: su 13.000 operatori e 6.000 società di persone o di capitale che operano nella comunicazione (dati rilevati dalla Agenzia delle Entrate), solo 500 imprese sono associate e su 30.000 addetti ai lavori, esclusi quelli che operano nella Pubblica Amministrazione, solo qualche migliaio è iscritto ad un’associazione.
Più che a una casa comune, Colesanti pensa ad una federazione tra le associazioni che si basi sugli interessi comuni: “unirsi è auspicabile, ma è una cosa da fare procedendo con i piedi di piombo. Il primo passo potrebbe essere creare una federazione, perché in realtà gli elementi in comune sono tantissimi, ma non è facile mettere insieme le numerose sensibilità che caratterizzano gli associati delle diverse associazioni”.
Unicom e AssoComunicazione stanno dialogando sulla possibilità di fondersi, ma non ci sono conferme. “Noi e AssoComunicazione – ha dichiarato Colesanti - abbiamo alcuni punti in comune, ma l’identikit delle imprese associate è diverso: in Unicom ci sono padroncini nazionali che rischiano in proprio, in AssoComunicazione le imprese sono più internazionali e vengono gestite da manager con un coinvolgimento differente. Tutto è superabile, trovando i punti d’incontro, ma è necessario che ci parliamo di più e trovando dei minimi comun denominatori da portare insieme avanti”.
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