venerdì 2 luglio 2010
Il solito ping pong sul bene comune. La novità è che si gioca a tennis.
Immagino che tutti conoscano la vicenda della gara per la scelta dell'agenzia pubblicitaria della FIT, la Federazione Tennis Italiana.
Solita garona romana a cui vengono ammesse più di una decina di agenzie. Assocomunicazione stigmatizza sulla pratica preferendo pitch con non più di quattro partecipanti. Le agenzie associate, praticamente nove decimi del tabellone, come logica conseguenza si ritirano negli spogliatoi.
Resta in campo, con la racchetta in mano, Michele Gottsche. Ovviamente da bravo imprenditore, prima che da ottimo creativo, non disdegna il principio secondo cui la partita migliore è quella con un solo partecipante. Sopratutto se quel solitario sei tu.
Vi risparmio lo scambio di battute, degno di una gara di ping pong cinese, tra Peter Grosser, vicepresidente di Assocomunicazione con responsabilità sul tema spinoso delle gare, e lo storico art director di Pirella degli anni d'oro. Se leggete i giornali, sapete tutto. Ma anche se non avete aperto la stampa di settore negli ultimi tre giorni, potete facilmente immaginare posizioni, argomenti, toni.
Io ho la fortuna di conoscere entrambi i giocatori e vi garantisco che Peter e Michele, entrambi con solida formazione teutonica alle spalle, sono persone serie e corrette. Nessuno dei due, pur vivendo in Italia da lunga pezza ed apprezzando il nostro paese, ha sviluppato etiche discutibili o abilità truffaldine di stampo italiota. Anzi.
A maggior ragione ha fatto sensazione la durezza della dichiarazioni di Grosser, che terra terra ha scritto: "Se si vuole veramente il bene della propria agenzia bisognerebbe contribuire a rendere il mercato in cui si opera meno selvaggio."
Ora, quando si comincia ad affrontare il tema morale del bene comune, io comincio a sudare come al tie break del quinto set.
Usciamo dalla più spettacolare settimana di Cannes della nostra storia, quella in cui per la prima volta, grazie al lavoro ed alla presenza dei nostri tanti bravi creativi sui palchi dei seminar e delle premiazioni, si è cominciato a parlare di talento creativo italiano. Condizione ideale per programmare, in nome del bene della comunità, una serie di attività, dichiarazioni, patti per promuovere e far considerare l'Italia non solo il nono mercato pubblicitario del mondo per investimenti, ma forse uno dei primi per talento creativo. Ho già scritto, su questo.
Manco il tempo di pensarlo e abbiamo assistito ad un Circo Barnum di dichiarazioni, appropriazioni di paternità, comunicati stampa in cui tutti tirano l'acqua verso il proprio mulino. Tutto nel silenzio più rombante delle cariche istituzionali di tutte le associazioni. Non ho letto una riga di nessun presidente in cui ci si rallegrava dei successi e si invitava la truppa a serrare i ranghi. In nome sempre e solo del bene comune, ovviamente.
Invece da lunedì si è aperta la caccia all'agenzia che vuole giocare in doppio con la FIT. Solo ed esclusivamente in nome dello stesso bene comune, ignorato fino a 5 minuti prima.
Ripeto, conosco il rigore degli sfidanti. Eppure continuo a stupirmi del fatto che su questa gara si applichino principi che condivido, mentre in altri casi ci si sia dimenticati della loro esistenza.
Non ricordo infatti lamentazioni per la gara del Ministero del Lavoro di qualche mese fa. Le agenzie che avevano manifestato interesse alla consultazione superavano la cinquantina. Non ho sentito critiche. Mi permetto di segnalare il caso, perché l'affollata gara in questione l'ho vinta io.
Mi conoscete per lavoro e principi, e so per certo che nessuno potrà tentare di mettere in discussione in alcun modo la correttezza della cosa. Quindi lo specifico caso è l'ulteriore dimostrazione che la serietà della gara non è data dal numero di partecipanti. Bensì da criteri di giudizio, metodologia di selezione, reputazione di chi esprime la valutazione finale.
A maggior ragione, quando si parla di bene comune, si deve ricordare che uno dei temi più scottanti, e che più danni ha fatto alla reputazione delle agenzie, è quello delle remunerazioni. Quello si che ha reso il mercato selvaggio.
Non hanno pensato al bene comune quelle agenzie, di tutti gli schieramenti e compagini associative, che nel corso dell'ultimo decennio non hanno fatto altro che portare le proprie tariffe in basso che più in basso non si può. E sono tante. Inutile ricordare le numerose gare pubbliche e private che hanno provocato reazioni sdegnate perché i vincitori avevano riportato un successo giustificato solo da un fee miserrimo, abbassato decimo di percentuale dopo decimo. Con commissione sempre più tendente allo zero.
Proprio perché parte in causa, ed attore di questo mercato, vorrei che il contributo di questo post sia generare discussione vera sul tema. Senza preclusioni ideologiche o di schieramento. Senza scegliere tra Peter o Michele, sulla base della simpatia o dell'appartenenza ad un'associazione. Solo pensando al Bene Comune, contro il Far West quotidiano.
Io per esempio penso che sia prioritario lavorare sulla reputazione e sul valore percepito delle agenzie. Le modalità di gara, e la quantità di partecipanti, rappresentano dettagli marginali nella questione.
Oltretutto agenzie che guadagnano di più, perché hanno una reputazione migliore, avranno CEO più felici. Con più tempo libero per giocare a tennis, o a golf, o a calcetto. E nessun bisogno di discutere sul complesso tema del "bene comune". Perché lo hanno già difeso, con il lavoro di tutti i giorni.
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