venerdì 28 gennaio 2011

Broglia: troppa finanza ha ucciso la creatività


La video intervista di ADVexpressTv di Giuseppe Usuelli del 21 gennaio, intitolata 'Uno scatto d’orgoglio per uscire dalla palude' ha aperto un dibattito interessante sul futuro della pubblicità e, più in generale, della comunicazione. Il primo intervento che abbiamo ricevuto è quello del giovaneEmanuele Nenna, imprenditore della comunicazione con la sua Now Available che, ascoltando l’intervista dell’Ad di McCann, e leggendo il mio editoriale si pone una domanda semplice e, allo stesso tempo, complessa: 'Come uscirne?'. Anche Daniele Tranchini, Ad di Publicis è intervenuto sull’argomento sottolineando che il futuro sarà di chi saprà modificare il tradizionale modello di business.

Oggi registriamo l’intervento, quasi a sorpresa, di un personaggio che ha avuto un ruolo di protagonista nella pubblicità italiana. Parliamo di Carlo Broglia (nella foto) uscito dal business cinque anni fa. Per i più giovani che leggono questo articolo ricordiamo che Broglia ha iniziato la sua carriera come art, e nel 1971 ha fondato una propria omonima agenzia con la quale lancia in Italia due marchi come Lacoste e Adidas. Poi l’incontro con le holding internazionali, più precisamente col network Omnicom, al quale cede l’agenzia prendendo in mano le redini della DDB che ha guidato per vent’anni. Sono gli anni d’oro della pubblicità, dei grandi successi a Cannes con i numerosi leoni vinti, tra gli altri, per Volkswagen e Audi. Alla direzione creativa c’era il tostissimo Gianfranco Marabelli. Per molti anni la Verba/DDB è stata l’agenzia con la A maiuscola, quella dove tutti i creativi ambivano di lavorare. Broglia, insieme ai suoi fedelissimi, ha reso grande la DDB trasformandola in un gruppo di 10 società collegate.
Questa lunga premessa per dire che il personaggio conosce bene i meccanismi dei grandi gruppi internazionali. Avendoli vissuti ne conosce i lati positivi e quelli negativi. In questa sua lettera, col suo tifo alla giovane imprenditoria, ammette i limiti di un modello che deve cambiare, e anche velocemente. Nei momenti di disorientamento può essere utile il pensiero di chi, in passato è stato protagonista
Attendiamo altri interventi.

Caro Salvatore,
dopo 5 anni di onorato silenzio mi sembra doveroso intromettermi nel dibattito che finalmente sta nascendo circa le sorti della comunicazione italiana.
L'esperienza da imprenditore durante i 40 anni trascorsi nel mondo della comunicazione - di cui 20 come partner di DDB in Italia - mi porta a pensare che l'origine dei nostri malanni non risiede solo nella recente crisi planetaria e nemmeno nelle prolungate mortificazioni a Cannes ma ha le sue radici nel nostro modo di fare impresa e di rapportarci con i network che ci sovrastano.
Quando Emanuele Nenna dice "siamo creativi e pensatori ma parliamo solo di numeri" credo che abbia ragione, in quanto lo strapotere ormai consolidato dei finanziari - soprattutto nei grandi network - ci ha fatto diventare bravissimi a tagliare i costi ma indeguati a sviluppare i ricavi.
Ho avuto la fortuna di lavorare alcuni anni con Emanuele quando era partner e Ad in Tribal DDB e non mi meraviglio affatto che oggi stia avendo i suoi primi successi come imprenditore perché ha saputo racchiudere in un'unica sigla le competenze delle discipline più utili per il Cliente contemporaneo.
Ma andiamo con ordine.
Mentre ti sto scrivendo, in qualche angolo del mondo (non più solo negli Stati Uniti) qualche individuo o gruppo di individui sta progettando tecnologia in grado di modificare sensibilmente processi di comunicazione fino a poco tempo fa cristallizzati attorno al nucleo televisivo.
Questo significa non solo che le piattaforme di consumo si sono allargate e verticalizzate ma anche che i consumatori sono cambiati e i loro bisogni e le loro attese verso i prodotti e le marche hanno subito delle variazioni importanti degne di essere prese in seria considerazione dai comunicatori.
Una recente ricerca indica che tra poco ci saranno più computer palmari che fissi.
Ciò significa, in teoria, la possibilità di raggiungere il consumatore in qualsiasi momento.
D'altro canto il consumatore potrà facilmente scegliere (scegliere è la parola chiave) di non volerne sapere nulla della nostra marca o del nostro prodotto. Il consumatore sta diventando un vero e proprio cliente: desidera essere riconosciuto, chiamato per nome e ricevere comunicazioni su misura per lui. La necessità primaria di una marca è quella di trasformare la sua quota di notorietà in una relazione ad alta fedeltà con i clienti finali.
Dunque per essere attraenti dovremo passare anche attraverso l'enterteinment mettendo in campo specialisti del web, progettisti di videogame, organizzatori di eventi speciali,ecc..
Tutto questo è realizzabile solo in un'unica sigla forte, capace di competenze nuove e composite.
Il vecchio sogno dei network di creare più sigle per gestire meglio le varie discipline e i possibili conflitti credo che abbia fatto il suo tempo. Oggi è meglio essere più veloci ed efficienti.
Per concludere auguro alla futura DDB di trovare dei veri imprenditori illuminati capaci di innovare nel solco di una splendida tradizione di creatività che proviene non solo da Bill Bernbach ma successivamente anche da Keith Reinhard col quale ho avuto il piacere di lavorare.
Baci e abbracci.
Ciao Carlo

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