martedì 21 giugno 2011

Space Available In Cannes/2.Dove nasce l’Innovazione?


Quello che preferisco del festival degli ultimi anni, sono seminar e workshop. Quando ho cominciato a venire al festival, un milione di anni fa, la vera ragione per cui si doveva essere qui era la possibilità di vedere tutta quella produzione a cui mai si sarebbe potuto accedere da Milnao. Venuta meno questa necessità documentativa (i film, i siti, le operazioni nonconvenzionali oggi sono tutti visibili nel corso dell’anno, via web), ecco che l’aspetto formativo diventa dominante.

Non sono il solo a pensarlo: anche quest’anno le sale sono piene, ci sono code ed attese fuori da auditorium e salette. E le grandi compagnie mettono soldi veri sul tavolo per assicurarsi in esclusiva gli speaker più importanti: Yahoo oggi presenta Robert Redford, prossimamente apparirà Patty Smith, stile Madonna di Lourdes, per intercessione di Publicis. Ieri invece Kraft Food, quindi non proprio un’aziendina di provincia, ha offerto ai delegati uno speech dello scrittore Malcom Gladwell. Avevo già avuto la fortuna di seguire l’autore di Blink al World Business Forum. Ma ieri era richiesto di parlare di “Exploring the Science of Creativity”, quindi l’attesa era notevole per chi fa questo mestiere.

Ieratico, pacato, con tempi retorici perfetti, l’autore inglese che la rivista Time aveva messo nell’elenco dei 100 giornalisti più influenti al mondo, ha incantato anche questa volta. Davanti ad una platea di creativi e clienti ha evitato accuratamente il formato show multimediale. Nessun filmato shocking, né KeyNote accattivanti. Quaranta minuti di sole parole, solo soletto sul palco: senza fronzoli, concetti chiari, approccio straniante. Nessuno si aspettava infatti che affrontasse il tema della creatività, e della sua applicazione nell’innovazione tecnico scientifica, confrontando i sistemi di ricerca militare della vecchia Russia, degli Stati Uniti, di Israele. Solo un trampolino per dimostrare che il sistema più stimolante per lo sviluppo di nuove idee non è quello Made in URSS, capace di aggregare e valorizzare scienziati locali in un sistema centralizzato che lasciava però pochissima libertà agli individui. La bomba atomica, piuttosto che la conquista spaziale, non si sono sviluppate in quelle lande, per questi limiti di sistema. Molto più produttivo quello statunitense, che prendeva il meglio di quello che c’era nel mondo e lo lasciava livero di operare in un sistema militare decentrato e federalista. La sorpresa sta nel fatto che come modello davvero vincente è stato proposto quello all’israeliana: perfetta via di mezzo dei precedenti, con forte centralismo e controllo, ma grande libertà operativa ed indipendenza delle singole realtà. Così è nato il rivoluzionario approccio della guerra lampo dello Yom Kippur del ‘73. Così l’industria high tech locale continua ad imporsi nel mondo dell’innovazione anche oggi.

Seconda riflessione gladwelliana: non conta essere il primo a sviluppare una tecnologia innovativa, se non si pone attenzione ai bisogni della gente. Il modello del creativo innovatore, perché imprenditore, è Steve Jobs della Apple: capace di prendere una tecnologia esistente e portarla ai livelli di servizio e vicinanza al consumatore inimmaginabile anche per chi l’ha realmente inventata. Se pensate che l’MP3 non era esclusiva tecnologia proprietaria della casa di Cupertino, la realizzazione del iPod è la perfetta dimostrazione di questa teoria. Come il fatto che abbia reinventato il telefono cellulare, il commercio di musica e film, ed all’inizio addirittura il PC ed il mouse. Allo stesso modo Brin e Page non hanno inventato i motori di ricerca, ma con Goggle, ultimo arrivato, li hanno migliorati e portati ad un livello di efficienza e vicinanza impensabile all’inizio.

Sulla base di queste prime due riflessioni, il discorso si incanala verso un finale atteso dal pubblico in adorante silenzio: serve un sistema industriale o ideologico che generi il processo creativo, servono innovatori che siano anche imprenditori e che reinventino la tecnologia già disponibile. Ma sopratutto serve non dimenticare che le Idee non vengono mettendo insieme soltanto un gruppo di smart people. Le idee nascono da gente, non necessariamnete geniale, che deve avere addosso pressione per trovare soluzioni A volte nasce dalla paura, a volte dalla disperazione, a volte dalla fame. Ed in pochi casi anche dalle grandi quantità di soldi messe sul tavolo dall’industria privata, che deve risolvere problemi e non mette limiti di risorse: ma anche questo genera pressione, come nel nostro lavoro quotidiano di creativi su commissione. Ma sempre, questa è la conclusione, le idee che si sviluppano in un sistema sono attivate dalla pressione che agisce su singoli o gruppi.

E se ricordo bene, Emanuele Pirella diceva che, anche se aveva tanto tempo a disposizione, cercava la soluzione solo negli ultimi giorni: “L’adrenalina è il più grande generatore di idee”. Forse è tutta qui, la diagnosi del nostro lento declino: troppo benessere, troppe garanzie, troppa sicurezza.

Chissà però che da questi tempi duri non nascano ancora stimoli per noi italiani. Chissà.

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