martedì 20 luglio 2010

Le conseguenze economiche delle gare (ed altre simpatiche considerazioni).



I laureati in economia decritteranno nel titolo la parodia di uno dei testi più conosciuti di John Maynard Keynes, pubblicato per la prima volta 91 anni fa.

I più aggiornati, quelli che hanno tra i fringe benefit l'abbonamento a svariate riviste di settore, intuiranno che stiamo parlando della notizia del giorno: la nuova buffa tendenza mondiale, quella per cui i clienti vorrebbero che le agenzie pagassero per partecipare alle gare.

Per i lettori del nostro blog, quelli che lavorano veramente, non conoscono l'espressione beneft ma solo quella contratto a tempo determinato e non hanno il tempo di aggiornarsi professionalmente, proviamo a fare noi un riassuntino.

Da alcuni giorni circolano notizie impazzite su richieste dei clienti di gare remunerate, ma dalle agenzie. Due casi che hanno fatto molto discutere: 10.000 dollari chiesti in India da Reckitt Benckiser ai centri media per prendere parte a una gara, e circa 1 milione di sterline chiesto dal tour operator britannico Thomas Cook alla struttura vincitrice del pitch indetto. Come dire, da 2001 Odissea nello Spazio a 2010 Odissea per gli Spazi.

Tutto questo mentre in Italia assistiamo a qualche tentativo di ritornare a convincere i clienti a rimborsare almeno una parte delle spese a cui devono far fronte le agenzie quando sono chiamate ad un pitch, media o creativo. La scorsa settimana ci ha provato Alessandra Lanza, ad un convegno della Consulta degli Eventi di Assocomunicaizone da lei presieduta. Timide reazioni da parte dei clienti, dettate più da buona educazione che da volontà di confrontarsi sul tema. Sempre nell'associazione leader delle agenzie, da un paio d'anni Peter Grosser sta tentando di riproporre il tema del numero limitato di partecipanti e della remunerazione minima per le agenzie duellanti.

Immaginate l'effetto dirompente di questa tendenza internazionale su questi nobili sforzi. Stiamo parlando di fenomeno legato alle gare media. Ma dò per certo che la cosa produrrà come automatica reazione da parte dei clienti italiani, sempre più spiritosi per formazione culturale, battute tipo: "Ahò, quanto me dai se te convoco per una gara?"

Ritornando al titolo d'apertura, questa non è che la logica conseguenza economica di un meccanismo inefficiente ed inutile come quello delle gare per scegliere una struttura di comunicazione. Ripeto per l'ennesima volta un esempio su cui tutti concordano. Invito i clienti che mettono in gara ogni tre mesi i loro budget di comunicazione ad entrare in un ristorante, anche solo un umile pizzeria, esprimendosi in questo modo. " Caro titolare, vista l'ottima reputazione del tuo locale, ti propongo in puro spirito di partnership di sedermi, assaggiare quasi tutto quello che prevede il tuo menù, più un paio di richieste personalizzate sulla mia dieta. Fra un paio di mesi, dopo aver provato i piatti di una decina di tuoi concorrenti, deciderò se affidarti per qualche settimana la mia mensa aziendale. Ovvimente non provarti a presentarmi il conto o a sottopormi le tue tariffe. Quelle le deciderò io, se vinci la gara."

Logica conclusione di questo discorso, nel mondo reale, è che il ristoratore cacci a calci nel sedere il simpatico cliente, o lo trascini in cucina a pulire le stoviglie. Nei casi di buona educazione, qualche gestore si limiterà a chiamare i carabinieri per allontanare il fastidioso avventore.

Invece, nella nostra industry, braccia aperte, reparti precettati, decine di gare ogni mese che poi generano il solito risultato: una risposta cortese che la struttura scelta non è la vostra, nella migliore delle ipotesi. Nei casi patologici, silenzi lunghi mesi, salvo scoprire che nel frattempo dallo stesso cliente è stata chiamata un'altra consultazione, con altri partecipanti.

Le conseguenze economiche sono proprio queste. Le faceva notare il presidente Masi, sempre nel convegno degli Eventi. Le ha fatte notare anche l'altro presidente Sassoli al'assemblea UPA (quella dei clienti, per intenderci). Agenzie che passano metà del loro tempo a fare gare che non producono effetti, mentre per i clienti sotto contratto la risorsa tempo e persone dedicate si riduce drasticamente. Sono le gare, bellezza.

Ora, ne avevamo già parlato qualche giorno fa, esaminando la gara per la Federazione Tennis.

Serve un deciso cambio di rotta da parte dei manager delle agenzie. Serve riportare i clienti al loro ruolo di clienti.

Serve anche un altrettanto netto cambio di passo da parte dei clienti. Serve riportare le agenzie al ruolo di agenzie.

Quando veniva chiamato ad una gara ben rimborsata, il ruolo del consulente di comunicazione era di stimato fornitore, partner strategico capace di produrre pensiero di qualità, di cambiare le sorti delle marche. Non quello di prostituta sempre e comunque, sperando in un esisto positivo.

Quando chiamava solo tre agenzie in gara, il ruolo del cliente era quello del proprietario di una marca che voleva crescere, aumentare il suo valore, rendere la sua equitity sicura al di là delle crisi e delle oscillazioni dei mercati. Non quello del carnefice sorridente, al grido di "Se non la fai tu, ne ho altri dieci in coda."

Molto più semplicemente, serve quello che io già faccio da una decina d'anni. Davanti alla chiamata di un cliente, amico o sconosciuto, rispondo sempre con la stessa frase: "Ma se mi chiami perché apprezzi la mia esperienza ed il mio stile, perchè dovrei fare una gara? E se mi chiami perché non hai voglia di lavorare con me ma con un'altra struttura, perchè dovrei fare una gara?"

Le conseguenze economiche di questo atteggiamento sono evidenti.

Quando partecipo ad una gara, la vinco sempre. Ed alle mie condizioni, operative e di remunerazione.

Quando non partecipo, almeno io, ho già vinto.

5 commenti:

tiziana pittia ha detto...

Efficace analisi. Difficile la pratica, soprattutto se operi con clienti "medio-piccoli" che sono assediati continuamente da troppe strutture: per loro la tentazione è quotidiana.
Ma lo stile che proponi è indubbiamente affascinante e te lo puoi permettere solo se hai un posizionamento alto. Comunque complimenti.

Gianni ha detto...

"La legge della giungla prevede un unico articolo: tutti concorrono al benessere della giungla.

La natura ha un equilibrio dinamico in cui tutti offrono qualcosa e tutti prendono qualcosa. Nessuno, in ultima analisi, prende di più di quello che dà.
E' vero che il leone mangia la gazzella, ma la realtà è che se il leone mangiasse tutte le gazzelle, resterebbe senza mangiare, senza contare che, lungi dall'essere il piu furbo della savana, in realtà è una specie di profittatore che mangia gli animali malati, quelli indeboliti, quelli rimasti per sbaglio fuori dal gruppo. Insomma, alla fine, il leone è quello che mangia gli avanzi, e gli avvoltoi gli avanzi degli avanzi.

Anche il leone e gli avvoltoi servono, ma in ultima analisi sono degli sfigati, gli spazzini della natura, anche perché mangiare carne cruda e spolpare le ossa non sono attività così affascinanti.

Fuor di metafora, nel settore della comunicazione ci sono tre attori, con interessi convergenti: agenzie, clienti e freelance. Fra i tre occorre, come ha detto anche Fulvio Zendrini in un'occasione pubblica organizzata dall'ADCI, anche rispetto. Occorrono informazione e regole condivise. A volte le presunte scorrettezze sono dovute più a ignoranza o diffidenza reciproca che a una vera volontà di lavorare male o trattare male il consulente di turno."

In ogni caso, aggiungo, finché uno dei tre attori pensa di essere più furbo, abile e profittatore degli altri, farà il male di tutti e, in ultima analisi, anche il proprio.

LaCò ha detto...

I clienti sono sempre convinti che in gara le agenzie diano il meglio. Credo che questa convinzione nasca dal fatto che le agenzie in gara accettano tempistiche ridicole senza colpo ferire. È vero c'è la crisi. È vero i budget si contraggono ma il problema è che le agenzie accentano sempre di offrire il massimo al minimo compenso e tutto questo per un'incapacità patologica di "fare sistema". Di proporsi come categoria unita e non solo come "homo homini lupus". Se agissere unitarimente nessuno potrebbe rispondere "se non ti sta bene vai, c'è la fila là fuori". Per questo atteggiamenti come il tuo, per quanto difficili e rari, sono da salutare auspicandosi che siano contagiosi.

ScintillEdo ha detto...

Davvero un' ottima disamina della realtà attuale. Ho rivisto, in questo post, ciò che succede là fuori.

pasquale diaferia ha detto...

grazie per i complimenti.
ma il problema è che se non si comincia a dire no, è come per le tossicodipendenze: non ti fermi più.

ed è inutile dire domani smetto.
bisogna smettere e basta.